ANDREA FUMAGALLI – Università di Pavia
Il professor Andrea Fumagalli, apre i lavori ricordando che ci troviamo di fronte ad una crisi sistemica iniziata negli Usa con i Subprimes e con l’inasprimento della pervasività dei mercati finanziari che, attraverso una concentrazione di potere, controllano flussi tecnologici e finanziari e plusvalenze. Le plusvalenze intervengono anche sul lato della domanda appropriandosi, in tal modo, del ruolo prima svolto dagli Stati. Ciò determina il conseguente smantellamento dello stato sociale. Le plusvalenze intervengono anche nel mercato del lavoro. In alcuni paesi, infatti, i lavoratori sono pagati attraverso l’assegnazione di azioni dell’impresa in cui lavorano. Questo meccanismo rende la sfera reale e quella finanziaria inseparabili oltre a creare strutturalmente ineguaglianze e instabilità con l’aumento a dismisura del gap tra ricchi e poveri
Quanto è accaduto nel ’29, quando si è cercato di risolvere la crisi con un patto sociale fordista tra capitale e lavoro nella crisi attuale, sembra essere una strada non percorribile, ma questa è una delle ragioni per cui il sistema non tiene. Il sistema non tiene anche perché gli stati si sono indebitati e i debiti nazionali diventano oggetto di ulteriori speculazioni.
Per fare un esempio: la Deutsche Bank ha venduto 7 miliardi di titoli pubblici italiani. Questo fatto ha indotto aspettative negative sui titoli italiani. La Deutsche Bank li ha venduti al ribasso proprio per speculare. Il valore dei titoli derivati era 100 e, grazie alla speculazione, è arrivato a 500. La Deutsche Bank ha incassato le plusvalenze. Questo significa grossi guadagni per le società finanziarie e, contemporaneamente, un peggioramento della vita dei paesi toccati dalla speculazione.
In Italia e in Grecia si è affrontata la crisi economica attuando un golpe politico gestito dalla BCE che ha indotto i governi a scelte economiche interessate. Le politiche economiche attuate volgono a “fare cassa” attraverso:
- la riforma previdenziale selvaggia;
- la riduzione del deficit con la vendita delle municipalizzate;
- l’aumento iniquo delle tasse (IVA, imposta regressiva aumentata dal 21% al 23%); Una moderna “tassa del sale e del macinato” su benzina, tabacchi, ecc.
Ciò produce effetti pesanti sulla dinamica economica per la perdita del potere d’acquisto.
- la riforma altrettanto iniqua del mercato del lavoro. La polemica sull’art. 18 è strumentale
L’obiettivo delle manovre è, da una parte, quello di garantire alle banche gli interessi sul pagamento del debito oltre alla finanziarizzazione della società con l’abbattimento del welfare. Queste politiche, lacrime e sangue, già in Grecia si sono dimostrate inefficaci e pericolose: in Grecia il PIL è calato del 7% e il rapporto debito/PIL è aumentato. Fumagalli, nel concludere il suo intervento, è categorico: siamo di fronte ad una truffa colossale.
MARCO BERTORELLO – Rivolta il debito
In Italia, dobbiamo guardare con attenzione a quanto avviene negli altri paesi europei come Grecia e Spagna. Se la Spagna dovesse fallire, e le nuvole all’orizzonte palesano tale opportunità, non ci sarebbero più i fondi destinati all’Italia.
La logica del debito sottende una sorta di trappola e persino chi sostiene le logiche di mercato è ben consapevole del fatto che da questa situazione non si esce perché la crescita non è data anche perché la crisi dei paesi occidentali si riflette sui paesi emergenti. Persino la Cina paga la crisi europea, ma non solo, ad essere in difficoltà è tutto il contesto asiatico e il Brasile.
Le liberalizzazioni fatte fino ad ora, è dimostrato che, ovunque siano state fatte, hanno prodotto soltanto l’aumento delle tariffe e l’abbassamento drammatico della qualità della vita. Prima si spolpa un paese, se ne affamano i cittadini per arrivare comunque alla ristrutturazione del debito (vedi la Grecia). Perché non farlo prima, allora? Se io mi ammalo e un medico mi fornisce un farmaco che non solo non mi guarisce, ma mi fa peggiorare e lo stesso medico mi prescrive lo stesso farmaco più e più volte senza farmi guarire, alla fine io cambio farmaco e medico. Invece in economia questo non avviene forse perché c’è paura e rassegnazione .
La situazione va affrontata da nuovi punti di vista, occorre:
- avere le idee chiare su quali sono le voci a cui ci si riferisce, quando si parla di ristrutturazione del debito. In Grecia le spese militari, per tutta una serie di “servitù” politico/internazionali, erano e sono altissime e vanno, ovviamente, ad aumentare il debito di quel paese.
- una commissione di audit che faccia una seria radiografia del debito. In Italia, il 14% dei titoli sono in mano ai cittadini italiani. Questo 14% è suddiviso in cinque gruppi all’interdo dei quali il gruppo più ricco detiene quattro volte di più dei gruppi meno abbienti. Per ristrutturare occorre ridurre il debito mollando chi ha comprato titoli pubblici per speculare. In Francia ci sono 120 comitati locali con il compito di audit.
- Prelevare la patrimoniale a monte sui soldi che lo stato ha già in mano: ad esempio gli scudati (?). Un prelievo secco e abbondante una volta sola.
ROBERTO ZANOTTO - FIOM
Il tema della crisi va affrontato da due punti di vista:
- La condizione industriale.
- Le reazioni collettive.
Condizione industriale
Vi sono aziende che hanno lavoro e aziende che hanno poco o niente da fare. Queste sono, sostanzialmente, le aziende che lavorano conto terzi.
Si evidenziano due questioni:
- Le banche non danno più soldi alle aziende
- La pochezza con cui gli imprenditori riversano i loro capitali nella propria azienda.
Queste condizioni determinano una velocissima degenerazione della vita delle aziende che falliscono nonostante abbiano ordini.
Anche le multinazionali, dall’inizio del 2012 sono in grande difficoltà e, quindi, si sono orientati verso la produzione dei beni “necessari”. Tra chi ha fatto questo tipo di scelte individuiamo: SIEMENS, General Electra, le aziende produttrici di macchine medicali, di energia e di trasporti pubblici, ecc.
Se le aziende non hanno ordini, non c’è possibilità di sviluppo e, d’altra parte, nelle città e nei territorio non è nemmeno previsto lo sviluppo anche perché oggi sta mancando un’intera trama industriale e se il lavoro dovesse tornare non avremmo più le capacità necessarie per farlo. La progettazione e la costruzione, infatti, non avvengono più in Italia: sono state spostate in paesi dove, a volte, la produzione è più costosa. A Sesto San Giovanni, ad esempio, c’era un laboratorio di ricerca per la riduzione dell’inquinamento atmosferico. E’ stato spostato in USA e in Nord Europa. Questo perché il prodotto collegato alla ricerca non viene acquistato nel nostro paese e, quindi, non c’è nessun tipo di scambio anche dal punto di vista tecnologico.
Questo andamento riguarda tutto il comparto dell’alta tecnologia. Le aziende legate alle telecomunicazioni, ad esempio, oggi sono un decimo di 10 anni fa e, di conseguenza, c’è stata una caduta fragorosa dell’indotto.
Un altro segnale è la caduta di iscrizioni di matricole al Politecnico di Milano. Dieci anni fa si erano iscritte 400 matricole, quest’anno soltanto 40.
Se il lavoro tornerà non ci sarà più nessuno che saprà farlo.
Reazioni collettive
Quella dei lavoratori è diventata una difesa solitaria del posto di lavoro, senza solidarietà e compartecipazione. I tempi per le soluzioni delle vertenze sono lunghissimi, la soluzione è costruita dai lavoratori coinvolti con il fatto specifico, la solidarietà dei partiti è ininfluente sulla soluzione.
Negli ultimi anni si sono perse tutte le battaglie sui diritti:
- numerosi accordi separati |
- Articolo 8 di agosto 2011 1
- Articolo 18
- contrattazione per le condizioni di lavoro le davamo per scontate, ora viene messa in discussione.
- Diritto allo sciopero, sarà il prossimo diritto ad essere attaccato
Perché queste cose avvengono? Dietro a tutto questo c’è l’idea del futuro ruolo industriale dell’Italia. La prova è individuabile nella riduzione della scolarità, nell’aumento dell’età pensionabile, nell’ingresso in ritardo dei giovani nel mondo del lavoro, legate al fatto che, ormai, le persone sono disposte a tutto pur di lavorare.
ANDREA FUMAGALLI
Prima si diceva: solitudine dei precari, ora si dice solitudine del lavoratore.
Bisogna stanare l’idea di crescita di questo governo di bocconiani. Imboccheremo la strada dell’Italia subfornitore che comporta la perdita di tecnologia oppure di subfornitore specializzato che comunque subisce decisioni prese altrove in un inesorabile processo di deindustrializzazione.
LUCA GIUNTI – NO TAV
Il concetto di TAV va bene in Francia paese piatto con grandi città a 3/400 chilometri di distanza l’una dall’altra, nel nostro paese andava bene un treno come il pendolino che riusciva a viaggiare facilmente tra colline, montagne e curve sul territorio. Inoltre riusciva a servire anche città di media grandezza e vicine l’une alle altre. Il pendolino italiano, eccellenza della nostra filiera industriale, è stato venduto dai francesi.
Occorre precisare che il percorso della TAV non si chiama più CORRIDOIO 5 perché Lisbona e Kiew se ne sono andate, a dimostrazione che è possibile farlo. Ora si chiama CORRIDOIO TRANSPADANO.
Il treno ad alta velocità francese passa per la linea storica, la gran parte della Torino/Lione è in Francia, ma l’Italia è il paese che paga di più.
La linea, se non nascono intoppi, sarebbe pronta nel 2035. La Francia sta studiando di dividere il suo lavoro in due tappe. Prima e passeggeri e poi le merci e questo fa sorgere molti dubbi e critiche. La critica più forte: la linea non serviva ad alleggerire il trasporto su gomma? Perché si parte con il trasporto passeggeri? A oggi in Val di Susa non è stato fatto nulla, solo la recinzione di Chiomonte.
Facciamo un’analisi del progetto per dire che:
Sono opere inutili:
il traffico di passeggeri e merci è in calo (per le previsioni sbagliate, vedere i grafici sul sito NOTAV)
Le linea di transito in Francia sono state ammodernate
La linea storica viene usata a meno del 30% delle possibilità
Sono opere costose:
E’ prevista, allo stato attuale, una spesa di 20 miliardi di euro. Si tratta di denari esclusivamente pubblici italiani e europei. Questa insistenza sui finanziamenti europei non deve far dimenticare che sono, anche questi, soldi pubblici, cioè dei cittadini. E, comunque, la previsione di spesa è in crescita: iI consuntivi sono da 3 a 6 volte maggiori dei preventivi.
Sono opere dannose:
Tralasciando l’aspetto ambientale e occupandosi soltanto di quello economico, secondo quando riportato nella delibera CIPE del 19/11/2010, n.79/06.04.11 i grandi appalti ammazzano l’economia delle piccole imprese.
Sono opere non credibili:
il sito intorno alla recinzione di Chiomonte è stato definito sito strategico di interesse nazionale.
La Val di Susa riesce ad opporsi da oltre 20 anni grazie alla presenza di tre punte del movimento che procedono unite:
- Gli amministratori (23 sindaci e il presidente della Comunità Montana),
- i tecnici e ai legali. (non ci sono sentenze che danno torto ai dimostranti).
- I valligiani uniti all’appoggio nazionale al movimento. L’ultima manifestazione ha visto la presenza di 75 mila persone provenienti da tutta Italia.
E’ il momento di portare NOTAV in città.
DOMENICO ARGIRO’ movimento NOF35
Negli anni passati c’erano i soldi e, quindi, non si faceva caso alla questione degli F35. Il movimento era localizzato a Novara e la lotta era molto locale. Nei movimenti pacifisti italiani non si è fatta mai grande attenzione ai sistemi d’arma.
Nel 2006 a Novara si viene a conoscenza del fatto che a Cameri sarà costruito uno stabilimento per l’assemblaggio dei cacciabombardieri. Avevano fatto le cose di nascosto per circa 20 anni. Ogni guerra ha le sue retrovie e noi siamo venuti a sapere la questione degli F35 da uno studio in lobbing, che criticava gli F35. Le prime manifestazioni di piazza Iniziarono nel 2007.
E’ necessaria una premessa: i cacciabombardieri costano e costano troppo, ma farebbero schifo, anche se fossero gratis perché sono strumenti di guerra e di morte. Ci sono dei furbi che vanno in televisore a dire panzane: “i cacciabombardieri potrebbero servire per la protezione civile”. No i cacciabombardieri servono per fare la guerra e basta.
Tornando alla questione economica: gli F35costano 80 milioni di dollari l’uno. L’Italia ne ha già comperati 3 e ne deve comperare 90. Il prezzo sta crescendo e la valutazione è arrivata a 180 milioni di dollari, l’uno. Come si vede si tratta di un sacco di soldi.
Fanno la fabbrica dentro l’area militare dell’aereoporto di Cameri , così come l’hanno voluta gli americani che non si fidano degli italiani.
Dicono che il progetto porterà molti posti di lavoro. Può anche darsi che sia vero ma attenzione, sposteranno i lavoratori da Torino a Cameri, un migliaio e non di più.
DOMANDE E RISPOSTE
Cosa significa ristrutturazione del debito
Bertorello
Ristrutturare il debito vuole dire che al tuo creditore non restituisci tutto quello che ti ha prestato. L’obiezione è: se ristrutturi il debito non sei più credibile. Va precisato che, per i due terzi, il debito non riguarda titoli comprati da piccoli risparmiatori. La ristrutturazione dovrebbe essere accompagnata dalla nazionalizzazione di alcune banche. Banca intesa, ad esempio, sta facendo notevoli attivi. Bene, allora li faccia per l’Italia,
Il governo Monti si muove nella direzione in cui si sta muovendo per ideologia ma anche perché la crisi è vera, le classi dirigenti non sanno come affrontarla e cercano di salvare il salvabile ma altre parole chiave stanno passando: Sorus, ad esempio, dice che le banche dovrebbero essere obbligate a finanziare l’economia e c’è un banchiere (italiano?) che dice che le banche dovrebbero essere obbligate a fornire allo Stato la mappatura dei patrimoni perché sono loro che li conoscono.
La condizione delle ferrovie in Italia
Marco Scigona – NO TAV
- I soldi degli investimenti vanno per l’80 per cento sulle linee ad alta velocità e il 20% sulle altre linee mentre i passeggeri sono inversamente proporzionali.
- Occorre opporsi alla privatizzazione delle ferrovie. In alcuni settori il pubblico è meglio del privato: trasporti, scuola, sanità, ricerca, innovazione, acqua.
- E’ chiaro che occorre imboccare nuove strade e che non possono essere gli stessi attori che ci hanno portato in questa situazione a tirarcene fuori.
- Occorre ritornare allo sfuso e il riuso, il progresso è una chimera.
A cosa serve il sindacato, che non è più in grado di difendere i lavoratori
Siamo di fronte a un processo di frammentazione che riguarda i lavoratori, in senso fisico, ma riguarda anche i partiti e i sindacati. I sindacati sono molti e ciascuno di loro si pone, sulle questioni, in modo differente. Non si può più parlare di sindacati, ma ogni qualvolta si citano posizioni sindacali sulle questioni è necessario indicare la formazione sindacale che le prende perché quella specifica posizione potrebbe essere in opposizione a quella presa da altre formazioni sindacali.
E’ chiaro che tutto questo indebolisce le lotte dei lavoratori anche perché le reazioni istituzionali sono ininfluenti sul risultato e sui diritti sul lavoro i partiti sono determinati in senso sbagliato.
Note:
- l’articolo 8, voluto fortemente da Sacconi, ha introdotto la possibilità di stipulare contratti collettivi di livello aziendale o territoriale (i “contratti collettivi di prossimità”) in grado di derogare alla legge e alla contrattazione collettiva nazionale, con l’obiettivo, tra l'altro, di facilitare i licenziamenti aggirando di fatto l’articolo 18 dello Statuto del lavoratori. L’articolo 8 mette in discussione la legislazione del diritto del lavoro e dà un duro colpo al quadro di tutele sancite nei contratti collettivi. Viola inoltre l’importantissimo accordo interconfederale unitario del 28 giugno 2011, che fissa con chiarezza la gerarchia delle fonti contrattuali e i riferimenti alla titolarità dei soggetti sindacali a negoziare (sparisce dall’articolo 8 ogni riferimento a criteri chiari per misurare la rappresentatività dei soggetti sindacali), nonché le regole di validazione dei contratti stessi previste nell'accordo stesso. In poche parole, tutto può essere cancellato in azienda: ogni diritto - ovviamente a partire dal licenziamento senza giusta causa - e ogni contratto. Il richiamo alla Costituzione e alle convenzioni internazionali sono da un lato una specie di foglia di fico (nel senso che è scontata la non derogabilità da quelle norme, ci mancherebbe!) ma, dall'altro, paradossalmente chiudono ogni disputa sul fatto che su tutto il resto sia invece possibile derogare.
In sostanza, si tratta di una norma profondamente sbagliata, che riporta le lancette delle relazioni industriali e dei diritti di chi lavora indietro di anni, cancellando tra l’altro l'importantissima intesa del 28 giugno che, non scordiamolo, arriva dopo anni di divisioni che proprio quel governo e quel ministro hanno perseguito con tanta foga ideologica. Per tutte queste ragioni, credo sia assolutamente necessario e urgente abrogare l’articolo 8.
Per approfondire:
-->http://nof35.org/doc/documenti.htm
-->http://www.notav.org
-->http://www.letteradeglieconomisti.it/
-->Tav. Le ragioni liberali del NO. di Andrea Boitani, Marco Ponti e Francesco Ramella
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